Preliminare di vendita: legittimo subordinarlo alla concessione del mutuo

Nel caso in esame, l’acquirente di un immobile evocava in giudizio il venditore, spiegando domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento della proprietà di tale bene, che il convenuto aveva promesso di vendere all’attore con il contratto preliminare.

Orbene, l’istante esponeva che, a seguito di accertamenti finalizzati all’ottenimento di un mutuo, scopriva che detto immobile era gravato, da pignoramento immobiliare a suo tempo notificato nei confronti del dante causa del promittente venditore. Pertanto, chiedeva che venisse pronunciata la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., previa liberazione del bene dalla formalità pregiudizievole nonché la condanna al risarcimento dei danni e delle spese anticipate per la ristrutturazione. Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell’immobile subordinatamente al saldo del prezzo, respingendo tutte le altre domande, tanto dell’attore che del convenuto.

Avverso tale sentenza, il venditore proponeva appello spiegando, inter alia, una domanda di accertamento della nullità del preliminare perché contenente una condizione meramente potestativa, o comunque illecita ovvero impossibile.

La Corte territoriale rigettava tale domanda, per cui il venditore ricorreva per cassazione.

Con il primo motivo, il ricorrente censurava la decisione del giudice di merito, in quanto avrebbe errato nel non ritenere meramente potestativa la condizione apposta al preliminare, in virtù della quale, l’atto notarile sarebbe stato stipulato non appena il promissario acquirente avesse ottenuto un mutuo occorrente per saldare il prezzo pattuito per la compravendita. Condividendo l’indirizzo espresso dai giudici di legittimità, in pronunce precedenti (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10074 del 18/11/1996, Rv.500605; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n.23824 del 22/12/2004, Rv. 578807), la Cassazione ha ritenuto infondato tale motivo, escludendo che, nel caso di specie, si potesse configurare una nullità del preliminare, posto che la clausola che subordina il trasferimento della proprietà all’ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo, non integra gli estremi della condizione meramente potestativa.

In particolare, ha riportato che: “Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito – patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista”.

Altra doglianza espressa dal ricorrente, riguardava la natura della condizione apposta al preliminare, la ritenuta nullità di esso, nonché la valutazione delle condotte delle parti, ai fini di individuare la rispettiva buona e mala fede. Nell’esaminare detta censura, la Suprema Corte ha premesso che “Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 c.c., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista” (Cass. Sez. U, Sentenza n.18450 del 19/09/2005, Rv.583707).

In particolare, la Cassazione ha chiarito che, in tema di contratto condizionato, l’omissione di un’attività può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, se tale omissione costituisce oggetto di un obbligo giuridico. Spetta comunque alla parte interessata, dimostrare che l’altra parte abbia tenuto un comportamento idoneo ad impedire l’avveramento della condizione, e si sia in tal modo reso inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza richiamati dalla giurisprudenza di questa Corte.

Nel caso in esame, il ricorrente non indica in che modo il venditore avesse offerto, nei gradi di merito, la prova della condotta dolosa o colposa dell’acquirente, limitandosi ad una censura dell’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte territoriale. Orbene, anche tale doglianza deve essere respinta, in quanto il ricorrente ha chiesto un riesame dell’apprezzamento di merito, precluso nel giudizio di legittimità.

Alla luce delle suddette argomentazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

(Altalex, 22 ottobre 2018. Nota di Maria Elena Bagnato)

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