Successione Ereditaria
Mi è capitato di fare ricerche su questo argomento in occasione di una vertenza in materia successoria, in ordine ad una contestata lesione della quota di legittima da parte di un coerede.
Le dispute tra coeredi per la quota ereditaria
Durante la successione ereditaria sorgono spesso dispute tra coeredi sulla spettanza della quota ereditaria, in particolare quando al momento dell’apertura della successione sussiste un conto corrente intestato, magari ad un solo figlio del de cuius, e l’altro o gli altri figli pretendono i ristoro di diritti di legittima sull’eredità, lesi in seguito a ripetute donazioni (indirette) di denaro per il tramite proprio del suddetto conto.
La rivalsa
Tale genere di rivalsa, detta tecnicamente “azione di riduzione”, può essere fatta valere dall’erede leso nei suoi diritti di legittima soltanto a partire dall’apertura della successione e fino a dieci anni dal momento del decesso, ciò in quanto la posizione di legittimario nei confronti dell’eredità si acquista soltanto a partire dalla morte del soggetto della cui eredità si tratta.
Chi sono i possibili legittimari
Sono legittimari i soggetti che vantano determinati gradi di parentela nei confronti del de cuius (ovvero il morto), come ad esempio i figli di quest’ultimo od il coniuge. Essi hanno diritto a una determinata quota dell’asse ereditario, calcolata in percentuale sul valore dello stesso determinato al momento della morte, sottratti i debiti ereditari e tenuto conto, altresì, del valore di tutte le donazioni effettuate in vita.
Ogni tipo di rivalsa, effettuata a fini della reintegrazione della quota di legittima riconosciuta per legge sul patrimonio ereditario, in particolare sulla giacenza del conto corrente, sarà consentita esclusivamente alla morte del de cuius e non prima.
Apertura della successione, cosa fare
Al momento dell’apertura della successione il chiamato all’eredità dovrà, come prima cosa, informare l’istituto di credito circa l’avvenuto decesso di uno dei contitolari del conto (mediante presentazione di un certificato di morte).
Ciò gli consentirà di “congelare” il rapporto in essere e di permettere alla banca di effettuare i relativi conteggi del saldo attivo (o passivo) da inserire nella dichiarazione di successione da registrare presso l’Agenzia delle Entrate. Contestualmente, ed in qualità di erede, potrà richiedere alla banca una rendicontazione analitica così da avere prova circa la provenienza delle somme versate dal de cuius sul conto.
Nel caso in cui il conto corrente dovesse risultare prossimo allo zero, se non addirittura “in rosso”, l’erede che reputa lesa la propria quota di legittima dovrà dimostrare non solo i prelevamenti effettuati dal cointestatario nel corso del rapporto, ma altresì che vi fosse una volontà del de cuius (implicita od esplicitata in scritti o altre dichiarazioni negoziali o non) di donare le somme di proprietà di quest’ultimo (come ad esempio la pensione) al cointestatario del conto.
Il conto corrente cointestato, infatti, è un rapporto negoziale intercorrente fra le persone titolari del rapporto e la banca, tale per cui gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto. Essere debitori o creditori in solido significa, più in generale, che il rapporto di obbligazione, rispettivamente dal lato passivo o attivo, viene considerato unitariamente: pertanto, nel caso di solidarietà passiva, ciascun debitore è tenuto per l’intero mentre, nel caso di solidarietà attiva, ciascun creditore potrà pretendere l’intera somma dal debitore.
La norma sulla cointestazione del conto corrente, tuttavia, deve fare i conti con quanto previsto dal codice civile che, in tema di rapporti tra debitori o creditori solidali, afferma che nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’ esclusivo interesse di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.
Il cointestatario di un conto corrente bancario, anche se abilitato a compiere operazioni autonomamente, nei rapporti interni non può disporre a proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza. Inoltre, tale limitazione vale non solo per il saldo finale del conto, ma vale durante l’intero svolgimento del rapporto.
Pertanto, ove in sede di successione dovessero riscontrarsi ammanchi nel conto corrente cointestato, per procedere ad un’eventuale azione di riduzione volta al ripristino dei diritti di legittima e, quindi, al pagamento del controvalore degli stessi, si dovrà provare:
1) che le somme sono state immesse sul conto corrente solo dal de cuius;
2) che le stesse siano di provenienza esclusiva del de cuius (come, ad esempio, la pensione);
3) l’esistenza in capo al de cuius dell’animus donandi, ossia della specifica volontà di fare regalo delle somme versate sul conto al cointestatario di quest’ultimo.
La mera cointestazione del conto non prova, da sola, che un soggetto abbia regalato ad un altro metà o più delle somme depositate sul conto: per fare ciò occorre provare la specifica volontà di voler arricchire per spirito di liberalità il soggetto cointestatario.
Dette prove, infine, risulteranno tanto più agevoli quanto più saranno tracciabili i movimenti di denaro sul conto corrente.
Lo studio legale Silvia Carrirolo
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